Nelle pagine di questo blog, lo sapete, mi piace a volte scrivere di musica anche in senso più ampio; condividere delle riflessioni che mi trovo a fare, nella speranza che siano di stimolo, oltre che per me, anche per chi mi segue e apprezza il mio percorso.

 

Sin dall’adolescenza mi ha sempre appassionato il gioco degli scacchi; non che io sia un giocatore provetto, ma trovo questo gioco stimolante e arricchente.

Giocare una buona partita è la sintesi di mosse giuste al momento giusto.

 

Saper calcolare i tempi corretti, leggere, in qualche modo, la mente dell’avversario ti porta a studiare i movimenti con equilibrio, dando il giusto peso ad ogni passo.

Negli scacchi esiste una mossa molto antica e famosa che prende il nome di “Gambetto” (nelle sue varie declinazioni, ad esempio il cosiddetto “Gambetto di Donna”).

La mossa consiste nel sacrificare temporaneamente un pezzo della scacchiera per ottenere in seguito un grande vantaggio di posizione e, di conseguenza, la gestione del gioco.

La cosa interessante, e istruttiva aggiungerei, è questa: quella che può apparire come una scelta folle, il sacrificio di un pezzo, apre nuove possibilità e diventa la chiave per la vittoria.

 

 

A questo punto, probabilmente, non è ancora chiaro il nesso con la musica.

Il medesimo atteggiamento del gioco degli scacchi lo ritrovo spessissimo nel comporre i miei brani; come per una buona partita così anche nella musica, il fattore equilibrio è una delle cose più determinanti, a mio avviso.

Mi sono trovato spesso, scrivendo i miei brani, a chiedermi se una parte fosse quella giusta, se trasferisse effettivamente l’idea che avevo in testa o se, al contrario, fosse troppo sbilanciata, ridondante e desiderosa di stupire più che comunicare.

In questi casi la scelta migliore si è rivelata sempre quella di togliere qualcosa; sacrificare un pezzo del brano, che ne appesantiva la forza espressiva, mi ha fatto capire quanto importante fosse scegliere solo le cose essenziali senza dover “dimostrare” nulla se non lasciare che le note diventassero, il più possibile, la traduzione naturale del mio messaggio.

 

Ecco che rivedo l’analogia tra il sacrificio di un pezzo nel gioco degli scacchi con la capacità di mettere da parte le molte sovrastrutture nella composizione per andare al cuore del linguaggio musicale e guadagnarne un immenso vantaggio: la capacità di comunicare con la musica.

 

Non che mi senta assolutamente arrivato in questo, anzi; queste domande mi accompagnano ogni volta che un nuovo brano prende forma e le risposte sono sempre in divenire e perfettibili.

 

Concludo questa riflessione con un terzo ed ultimo elemento legato alla nostra attualità.

Siamo reduci da questo tempo strano di pandemia globale.

L’appello, giusto e comprensibile, che sento più di frequente è la voglia di tornare alla normalità; mi chiedo: siamo proprio sicuri di voler tornare alla normalità? Non è proprio questa normalità “di prima” fatta anche di priorità sbagliate, e stili di vita insostenibili, che ci ha condotto fino a qui?

La mia paura è che dopo lo “stop” forzato di questi mesi, il nostro affanno sia semplicemente quello di rimettere i pezzi esattamente com’erano prima senza modificare nulla e senza porsi alcune domande: è corretto il nostro stile di vita, la gestione del tempo, come abitiamo, come costruiamo le case, come sfruttiamo il territorio? E’ giusta la considerazione della cultura che abbiamo in questo momento, il suo ruolo? Possiamo andare in direzione solamente di un mondo che vogliamo cresca all’infinito o è necessario fare dei passi indietro che si rivelino come un avanzamento, invece, del benessere dell’anima e della percezione del bello?

Molte domande, a ognuno la sua personale risposta.

 

Forse dalla musica, come dagli scacchi, possiamo imparare a rinunciare a un “pezzo” della nostra vita per guadagnare qualcosa che appare come meno tangibile ma non per questo meno essenziale.

Buona Musica a tutti!!!

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